Perchè fotografare con apparecchi fotografici a pellicola istantanea.
Il sotto titolo dice tutto: per avere subito in mano quanto è stato scattato pochi minuti prima. Ecco le condizioni ideali oggi per ottenere buone fotografie dal punto di vista tecnico, perchè dal punto di vista artistico occorre altro tipo di esperienza. Quasi tutte le fotocamere istantanee Polaroid recenti o meno, scattano foto e stampano immediatamente, senza scelta di non farlo. Per mia conoscenza solo la Fuji Instax SQ10 e SQ20, permettono come fotocamere ibride cioè analogiche e digitali, di stampare in automatico o dopo aver controllato la qualità sullo schermo digitale; vantaggio non da poco data la spesa consistente delle singole pellicole. In ogni caso, per mia opinione, spendere alcuni minuti per la composizione della foto da scattare con qualsiasi apparecchio istantaneo si utilizzi, renderà il risultato pieno di contenuti tecnico artistici irripetibili e significativi; per questo non getto nessuna delle mie foto realizzate con queste pellicole, nemmeno quelle per le quali ho lasciato il tappo sull’obiettivo! Imparo e miglioro, e i risultati si vedono.
La mia esperienza con questi apparecchi spazia anche su multipli scatti sovrapposti in modo voluto, scatti notturni e in movimento e su queste poche righe inizio a mostrarne alcune, di gusto personale ma per me tecnicamente interessanti.
Trasmettere ad altri le mie conoscenze tecniche e stilistiche di foto e video, mi ha aiutato a comprendere ancora meglio le possibilità di rappresentare scene e luoghi in modi tutti differenti dal mio. La ricchezza del confronto per condividere una scelta, anche se operata con giovani inesperti dal punto di vista tecnico e compositivo, mi ha regalato spesso opportunità di utilizzare un modo differente di vedere le cose.
I primi video realizzati con studenti dell’istituto universitario presso il quale lavoravo, erano prodotti con stranieri provenienti da varie aree geografiche del mondo e nessun italiano. Gli stili e gli interessi per raccontare Firenze e la vita che la percorre dai loro punti di vista, erano spesso dirette a mostrare differenze culturali e sociali che la città offriva confrontate con le abitudini e le routine dei loro paesi di origine. Analizzandoli da italiano, si potevano evidenziare alcuni stereotipi più o meno rappresentativi di come lo straniero della loro età definisce la vita in questa città italiana.
Indossare l’abito della gentilezza e della pazienza, è parte della letteratura buddista che indica l’atteggiamento da tenere nei rapporti personali con gli altri per ottenere a lungo termine relazioni umane migliori. Cerco di applicare questa regola di vita di grande efficacia e buonsenso che mi incoraggia a fare meglio e riprovarci quando le aspettative vengono deluse. Mi accorgo anche dell’importanza di perseverare fino alla fine, per raccogliere davvero i risultati.
Circa 25 anni fa, ebbi occasione di occuparmi del restauro di una statua di circa 45 cm di altezza. L’esuberanza giovanile di accettare subito l’incarico senza avere le complete conoscenze tecniche dei materiali, fece sì che per arrivare a risultati finalmente accettabili dal punto di vista estetico, fui costretto a rifare quel lavoro tante volte fino a contarne 11 prima di arrivare a conclusione. Lo stress di non capire come mai i colori non assomigliassero abbastanza oltre alla spesa importante per acquistare testi e consultare altri professionisti che mi fossero d’aiuto tirandomi fuori dai guai, non riuscirono comunque a scoraggiarmi dal portare a fine il restauro con successo. Il committente, un americano residente in Italia, fu veramente soddisfatto dei risultati, non mancò tuttavia di chiedere uno sconto sul compenso finale che avevamo pattuito dall’inizio. Non ha mai saputo veramente l’intera storia di quel restauro se non per alcuni accenni alla sua complessità. Lo sconto, non fu fatto.
Durante la fase didattica nel periodo in cui insegnavo a studenti stranieri arti ceramiche in un istituto universitario a Firenze, mi sono trovato più volte ad utilizzare questo aneddoto per incoraggiare chi si stava trovando ad un punto morto del suo apprendimento spronato a non mollare fino a raggiungere i propri obiettivi. Con loro dovevo parlare in inglese come da contratto e raccontando questo aneddoto mi fu assegnata la versione inglese di quel soprannome riferito ai numerosi tentativi per concludere quel restauro. Oggi mi rendo sempre più conto che non importa quante volte si cade a terra, piuttosto è importante quante volte si è disposti a rialzarsi da dove siamo rimasti. Anche per me, nei momenti di frustrazioni professionali e non solo, quell’aneddoto è un potente antidoto che mi spinge a non mollare mai fino alla fine. Thanks, Mister Eleven!
Guarda se vuoi, il video di quella esperienza didattica:
Affascinante progetto realizzabile in senso generico con quattro elementi.
una camera oscura,
una superficie fotografica al suo interno
un foro su una delle pareti attraverso il quale la luce naturale proveniente dall’esterno, proietta le immagini verso la superficie opposta all’interno rovesciando le immagini sottosopra
un fascio di luce
In questa apparente semplicità, si nasconde un procedimento di copiatura delle immagini conosciuto fin dai tempi antichi e certamente nel Rinascimento.
La dimensione del foro, il tempo di apertura di questo foro per far passare la luce prima che venga chiuso nuovamente con una specie di tappo o copertura, l’intensità della luce che deve passare attraverso, e il tipo di materiale sul quale la luce viene proiettata, sono collegati fra loro secondo regole ben precise che se conosciute possono dare origine a immagini fotografiche più o meno definite senza il minimo utilizzo di lenti fotografiche.
Le mie sperimentazioni in merito, risalgono al primo anno della scuola media, durante il quale il progetto fotografico fu realizzato da ogni mio compagno di classe utilizzando una scatola di fiammiferi di grandezza normale e un qualsiasi rullino fotografico 35mm.
L’entusiasmo mio fu tale che da allora, gli esperimenti fotografici non mi hanno più abbandonato e nel tempo, a seconda delle risorse economiche di cui potevo disporre o il permesso di usare le apparecchiature che venivano usate in casa mia per fare fotografie, non mancavo di ritrarre persone, oggetti o creare piccoli scenari con i giochi di allora, modellismo, calcio in miniatura, poi amici, ecc.
Il Davide di Donatello dentro il Museo Nazionale del Bargello a Firenze
Durante l’insegnamento di progetti fotografici sperimentali realizzati a Firenze con studenti universitari, ho nuovamente aggiornato le mie esperienze in merito raccogliendo in un breve video il progetto costruito insieme ai miei studenti di allora. Le loro macchine fotografiche erano basate sul progetto Dirkon. Ecco le istruzioni dettagliate per poter sperimentare personalmente questo stile fotografico su pellicola 35mm. Il progetto Dirkon originale. In commercio esistono diverse soluzioni per costruirsi da soli questa camera oscura anche con materiali di uso domestico salvo la necessità di acquistare le tradizionali pellicole da 35mm in uso per la maggior parte delle macchine fotografiche usate principalmente fino a dieci anni fa.
Le esperienze personali mie sono state sviluppate solo in orari diurni e prevalentemente nella città di Firenze dove lavoravo allora. Approfondendo l’argomento credo sia possibile ottenere risultati anche tramite esposizione notturna spendendo un po’ di tempo a calcolare i tempi maggiorati di esposizione della pellicola.
Ecco il video di quella esperienza insieme agli studenti. Viva la fotografia sperimentale!
Recentemente sono stato intervistato da Pronto Pro, la più grande rete di professionisti in Italia che unisce un grande numero di persone capaci in ambito diverso. Oggi in una epoca di eventi particolari, necessità creative, fantasia, esperienza e talento, diventa cruciale chiedere a più professionisti la loro opinione riguardo al proprio progetto, perchè è il risultato finale che conta.
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